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Sportwashing in Arabia Saudita

L’organizzazione delle finali della Women’s Tennis Association (WTA) in Arabia Saudita, attualmente in corso a Riyadh, ha suscitato controversie a livello internazionale. Questo evento è il primo torneo professionale di tennis femminile ospitato nel regno come parte di un accordo triennale. Tuttavia, la decisione della WTA di portare l’evento nel paese è stata duramente criticata da attivisti per i diritti umani e da alcune ex campionesse, che accusano l’Arabia Saudita di “sportswashing,” ovvero l’uso di eventi sportivi per migliorare la propria immagine e distogliere l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani.

Un esempio emblematico delle problematiche in questione è il caso di Manahel al-Otaibi, una giovane istruttrice di fitness saudita condannata a undici anni di carcere in un processo segreto per aver espresso sostegno ai diritti delle donne sui social media. La sorella di Manahel, Fawzia al-Otaibi, ha espresso il proprio sgomento per l’incarcerazione della sorella proprio mentre giocatrici internazionali partecipano al torneo nel loro paese.

Lina al-Hathloul, attivista e sorella di Loujain al-Hathloul, figura di spicco nella lotta per i diritti delle donne saudite, ha dichiarato che non vuole che l’Arabia Saudita sia “isolata,” ma ritiene che eventi sportivi di questo calibro non debbano coprire la realtà locale. Al contrario, ha esortato le atlete a usare la loro visibilità per denunciare la repressione in atto. “Siate la voce di chi è stato silenziato,” ha detto, riferendosi alle attiviste incarcerate, come Salma al-Shehab, condannata a 34 anni di prigione per aver semplicemente retwittato contenuti di attivisti.

Tra le giocatrici in gara, le reazioni sono contrastanti. La numero uno mondiale Aryna Sabalenka ha dichiarato di essere “impressionata” dai progressi dell’Arabia Saudita nello sport femminile e si è detta felice di far parte di “un pezzo di storia”. Tuttavia, Coco Gauff, che è nota per le sue posizioni sui diritti sociali, ha espresso delle riserve, riconoscendo l’importanza di un “vero programma” per non lasciare che il torneo sia solo un evento senza impatto sociale.

Billie Jean King, fondatrice della WTA e icona dell’uguaglianza di genere nello sport, ha mostrato una posizione aperta a un coinvolgimento in Arabia Saudita, pur sollevando preoccupazioni sul trattamento delle donne. Al contrario, altre ex campionesse, come Martina Navratilova e Chris Evert, si sono espresse contro l’evento, affermando che ospitare le finali in Arabia Saudita rappresenterebbe un “regresso” per il tennis femminile.

Portia Archer, amministratrice delegata della WTA, ha difeso la decisione, spiegando che l’organizzazione gioca spesso in paesi con valori e culture differenti. Ma secondo Minky Worden, direttrice delle iniziative globali presso Human Rights Watch, la WTA avrebbe dovuto richiedere miglioramenti dei diritti delle donne prima di accettare di svolgere il torneo in Arabia Saudita, sostenendo che la decisione attuale non rispetta adeguatamente i diritti femminili.

Il dibattito su questo evento riflette il conflitto tra il tentativo dell’Arabia Saudita di mostrarsi aperta e progressista e le richieste di trasparenza e rispetto dei diritti umani. Mentre alcune giocatrici sostengono che lo sport possa contribuire a un cambiamento positivo, gli attivisti e i critici avvertono che questo tipo di eventi potrebbe, al contrario, rafforzare una narrazione di riforme superficiali, occultando i problemi profondi relativi alla condizione delle donne e alla mancanza di diritti per la comunità lgbtqia+.