La vicenda di Joan Bellingham è una testimonianza struggente di abusi subiti in nome della “cura” contro la sua identità sessuale presso il Princess Margaret Hospital in Nuova Zelanda tra il 1970 e il 1982. Durante questo periodo, Bellingham fu sottoposta a oltre 200 sessioni di terapia elettroconvulsiva (TEC), che le causarono ustioni, perdita di memoria e cecità temporanea, oltre a un’ampia serie di effetti collaterali da un cocktail di farmaci debilitanti.
Sotto la direzione del dottor John Dobson, Bellingham ricevette trattamenti che ritiene abbiano costituito una forma di tortura. La TEC, nota come trattamento per disturbi gravi come depressione e bipolarismo, in questo caso veniva somministrata come “cura” per la sua omosessualità. A ciò si aggiungeva l’uso di paraldeide, un potente sedativo in grado di causare dolore estremo, che veniva iniettato per immobilizzarla durante le sedute.
Bellingham descriveva le esperienze con parole dure: “Tortura a tutti gli effetti. Ogni volta pensavo che sarei morta”. Il dolore e la paura si accompagnavano a umiliazioni costanti, con interrogatori personali e domande invadenti sulla sua sessualità. Il trattamento le causò gravissimi danni psicologici e fisici, facendole tentare il suicidio. La documentazione dei suoi trattamenti, tuttavia, risulta scomparsa: l’Agenzia di Compensazione per gli Infortuni (ACC, Accident Compensation Corporation) della Nuova Zelanda confermò che i registri specifici sulla TEC, separati dal resto della documentazione medica, erano stati distrutti durante un’alluvione.
Nonostante alcuni psichiatri abbiano contestato che la TEC possa provocare ustioni, gli estratti delle sue cartelle cliniche testimoniano che anche i medici dell’epoca riconoscevano i segni fisici delle scosse elettriche sulla sua testa. Bellingham ricorda i momenti successivi alle terapie, quando soffriva di vomito, mal di testa lancinanti e confusione mentale.
Oggi, Bellingham chiede al governo neozelandese di riconoscere la natura di tortura che queste pratiche mediche avevano per le persone LGBTQIA+. La sua storia porta alla luce un capitolo doloroso in cui trattamenti pseudo-scientifici venivano usati per cercare di cambiare l’orientamento sessuale di persone incolpevoli, arrecando danni irreversibili alla loro salute e benessere psicologico.